Home > Rutelli e la vocazione neo-emendataria
di Rina Gagliardi
Da dove nasce la vocazione neo-emendataria (per altro nient’affatto recente) di Francesco Rutelli? Ovviamente, il Presidente della Margherita punta ad occupare - anche elettoralmente- quello spazio di "centro-moderato" che oggi appare appannaggio soprattutto dell’Udc e delle componenti dialoganti del polo. Ovviamente, il suo disegno è quello di spostare comunque a destra la fisionomia dell’Ulivo, per contrastare l’egemonia potenziale della sinistra (e dei movimenti) sul suo impianto programmatico. Un’astuta operazione tattica, per quanto molto "scoperta", che corrisponde ad un’esposizione mediatica (relativamente) brillante: infatti, di che cosa si discute in questi giorni, sui giornali e nei Palazzi della politica? Già qui il rovesciamento dell’iter razionale da seguire ha del clamoroso: una opposizione come si deve dovrebbe incominciare a discutere di quello che si propone e vuole fare, per cambiare lo stato delle cose, e dedurre poi da queste persuasioni la sola conseguenza logica, ovvero l’abbattimento di tutta la legislazione controriformistica del centro destra. Invece, si procede al contrario. Ma l’inversione non è né innocente né tanto meno neutrale. E la destra al governo, per quanto moribonda, per quanto lacerata, per quanto sull’orlo del collasso finale, guadagna punti (forse) preziosi.
Ma c’è dell’altro, nelle smanie protagonistiche dell’ex sindaco di Roma: una lettura radicalmente distorta della società italiana che gli impedisce di vedere la crisi in atto nel blocco di consenso raccoltosi nel 2001 attorno alla Casa delle libertà. Lo illustra bene, questo "gramscismo alla rovescia", un articolo-lettera sul Riformista di ieri scritto da Ferruccio De Bortoli: il berlusconismo sarebbe - era ieri e rimane oggi - la vera cifra ideologica della società civile, e al centro sinistra spetta dunque il compito di rappresentare questa realtà maggioritaria, assumendola e incorporandola, appunto, in una sintesi intanto metodologicamente bipartisan. Già, ma se si va a vedere in concreto quali sarebbero le "riforme buone" di Berlusconi, quelle che piacciono a Rutelli, all’ex direttore del Corriere, a Nicola Rossi e, soprattutto, alla Confindustria, si scopre che si tratta proprio dei nodi strutturali e strategici del paese: il lavoro e l’occupazione, la scuola ed il sistema della conoscenza, i diritti garantiti dallo stato sociale, come la pensione. Ma è proprio su questi terreni che il centro destra ha perduto egemonia, deluso il suo elettorato, smarrito la sua iniziale credibilità. Ed è proprio questo contenuto essenziale del berlusconismo che i movimenti di questi anni, e la ripresa del conflitto sociale e di classe, hanno radicalmente messo in causa e reso minoritario. In ultima analisi, il trucco ideologico c’è e si vede. Un "berlusconismo" senza Berlusconi ma con i poteri forti, ed un liberismo e un atlantismo rinnovati: ecco la sostanza del programma neo-emendatario che, rinunciando ad ogni idea di cambiamento, non a caso si perde per strada la lotta contro la destra e smarrisce, perfino, la (modestissima) idea di alternanza.