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di Nello Trocchia
Le racconta Gabriella Ebano, insegnante e fotografa, nel suo libro "Felicia e le sue sorelle"
VENTI RITRATTI di donne, venti storie di donne che lottano contro la mafia. Le racconta Gabriella Ebano, insegnate e fotografa, nel suo libro "Felicia e le sue sorelle". Edito da Ediesse, il libro percorre ,attraverso i volti e i percorsi di venti donne, 50 anni di storia del movimento contro la mafia.
– Le prime donne che racconta nel suo libro hanno visto i loro cari morti nei primi anni del secondo dopoguerra, dal 1946 al ’48, quando la mafia ufficialmente non esisteva, c’è un filo che unisce le loro storie?
Tutti questi morti, sono 40 i sindacalisti uccisi in quel periodo, io ne racconto 5, erano impegnati nelle lotte sindacali. Nel secondo dopoguerra, la mafia era un’ organizzazione che difendeva il latifondo e le baronie, impaurendo il movimento contadino. Nelle elezioni del 1948 questa campagna condusse alla sconfitta dei socialisti e dei comunisti che due anni prima avevano ottenuto, invece, un ottimo risultato. Questi barbari omicidi, per le donne, significavano un atto plateale per zittirle, per chiuderle nell’isolamento. Emblematica la storia di Antonella Azoti che dopo la morte del marito, fu abbandonata dai parenti della mamma.
– L’isolamento spesso esasperava gli animi ancora più dei lutti, le donne del suo libro raccontano anche della connivenza dello stato nelle stragi( Portella delle Ginestre,Partinico), quale faccia aveva la giustizia?
Una faccia molto equivoca, le connivenze erano strette. A Palermo, nella sagrestia del cardinale di allora si riunivano i capomafia, la giustizia dava mano libera agli omicidi o comunque le indagini non andavano a fondo, tutti i sicari dei sindacalisti sono rimasti impuniti.
– Lei svolge l’attività di fotografa, se potesse con quale immagine rappresenterebbe la mafia?
Ho in mente una mia fotografia. Nell’estate del 1992, a Palermo, in centro, una scritta con una vernice rossa, riportava le parole che aveva pronunciato la vedova dell’agente Schifani,durante i funerali del marito: “ Mafiosi inginocchiatevi”.
– Molte protagoniste del suo libro hanno trovato nel dolore la forza per ricominciare, il coraggio per affrontare il silenzio, una risposta emotiva alla solitudine?
In parte. Secondo me la voglia di mantenere viva la memoria di questi uomini è stata la vera spinta. Finché c’erano i mariti queste donne non partecipavano attivamente ma dopo hanno reagito, e si sono impegnate. Non potevano chiudersi nel silenzio, visto che il silenzio stava cancellando il sacrificio dei familiari uccisi.
– “Michelangelo Salvia, prima che venisse ammazzato anche mio padre, fu ucciso con dei colpi di arma da fuoco sparatigli in bocca perché Michelangelo non aveva peli sulla lingua. La gente parlava , lo stato era omertoso e depistava...” racconta Giuseppe Casarrubea, qual è la percezione dello stato che emerge dal suo libro?
Parlando delle morti del secondo dopoguerra lo stato era assente e nemico. Un’entità che successivamente mandava allo sbaraglio i suoi uomini, il prefetto Dalla Chiesa è l’esempio concreto. Come racconta la figlia Simona, Carlo Alberto Dalla Chiesa quando era giovane si impegnò e rappresentava la faccia buona dello stato, quando poi fu nuovamente mandato in Sicilia , come prefetto, fu abbandonato e la mafia uccide sempre gli uomini che lo stato lascia soli.
– C’è una donna nel suo libro che sembra averla ispirato: Felicia Impastato. Provi, se vuole, a raccontare la sua storia e quali i tratti che ha colto in questa donna straordinaria.
Felicia è una donna anticonformista, battagliera, determinata, a prescindere dal trauma subito per la morte tragica del figlio. Lei ha messo in pratica l’insegnamento del figlio, ha tirato fuori le sue qualità nel dramma. Ci vorrebbero ore per parlare di Felicia, ispiratrice di questo lavoro. Fino alla sua morte le sono stata vicina, io stavo da lei il più possibile, era ed è ancora una maestra. Aveva una capacità:. pativa come dramma personale ogni ingiustizia.
– Racconti un particolare dei suoi incontri con Felicia Impastato
Per il libro mi ero dato un limite di un’ora di registrazione, limitare Felicia è stato impossibile. Lei era un racconto vivente. Mi ha impressionato il suo amore per il figlio che per lei non era un pazzo, ma un orgoglio, un esempio.
– Rita Borsellino è la candidata del centro sinistra per le prossime elezioni siciliane, è un pericolo se l’antimafia prende parte e scende in campo?
Io penso che sia una garanzia, è una scelta difficile, ma la Sicilia ne aveva bisogno. La Sicilia ha un baratro davanti, Borsellino è una risorsa, è la risposta necessaria, forse l’unica per rialzare la testa.
Grazie.