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A supporter of Andres Manuel Lopez Obrador, presidential candidate of the Revolutionary Democratic Party, waves the party flag as the official count continues at the Federal Election Institute in Mexico City July 5, 2006. REUTERS/Daniel LeClair (MEXICO)
Lopez Obrador: spariti milioni di voti
Conta preventiva Il candidato del centrosinistra: contro il verdetto darò battaglia
di Roberto Zanini Città del Messico
Non ci sta, il candidato di centrosinistra Lopez Obrador: «Sono spariti tre milioni di voti», dice, e si ferma a un passo dall’accusare le istituzioni di frode. L’Istituto elettorale ha concluso la conta preventiva, e contro tutti i sondaggi fatti negli ultimi sei mesi il candidato della destra Felipe Calderon sta un punto sopra Obrador.
Un punto vuol dire circa 400mila voti, ma ci sono ottocentomila nulle, i tre milioni di voti spariti («sono voti contestati, vedremo», spiega l’Ife), e una massa di - chiamiamole - anomalie.
Una la esibisce lo stesso Obrador davanti alle tv: è la foto del registro finale di un seggio, ci sono 188 voti per il Prd, ma sulla pagina internet dell’istituto elettorale lo stesso seggio ne assegna solo 88 al partito di centrosinistra. Qualcuno si è mangiato una cifra. Lo chiamano «robo de hormigas», furto delle formiche: dieci voti qui, cento lì e el peje, come chiamano l’uomo che ha guidato l’opposizione, finisce fritto.
Appeso a questo punto di differenza, alla leggera e poco credibile supremazia ufficiale di Calderon, il Messico sprofonda in quello che un commentatore, Luis Hernandez Navarro, definisce «colpo di stato tecnico».
Una notte di proiezioni elettorali drogate, strapotere delle televisioni tutte orientate a destra, denaro pubblico versato su ordinazione, efficiente campagna della paura e divisione verticale del paese, col nord più ricco che vota a destra e il sud più povero che vota a sinistra. Insomma un nuovo 1988, anno in cui il candidato di sinistra Cardenas fu derubato da un provvidenzale blackout del sistema elettorale.
Quella volta Cuauthemoc Cardenas si arrese molto presto, per non portare il paese - disse - alla guerra civile. Ma Lopez Obrador è molto diverso dal figlio del vecchio generale Cardenas che nazionalizzò il petrolio. E’ un capopopolo, e gode di un apparato organizzativo che allora non esisteva. Tocca a lui, se ne ha la forza, decidere se scegliere lo scontro sociale o fermarsi a quello politico.
E gia lo stratega del partito, Camacho Solis, annuncia che si potrebbe ricorrere alla piazza «se tutte le istanze istituzionali risultassero superate».
Il meccanismo elettorale prevede che oggi l’Istituto elettorale cominci il conteggio fisico dei voti, esaminando i registri seggio per seggio e - se ci fossero contestazioni - scheda per scheda. Può metterci giorni. I risultati si possono impugnare e lo saranno. Quindi toccherà al Tribunale elettorale federale esaminare le impugnazioni. Il tribunale parrebbe più decente dell’Istituto elettorale, che ha giocato pesante per tutta la notte delle elezioni, ma le istituzioni messicane non brillano per trasparenza.
Nel frattempo quel monumento alla politica messicana che è il Partido revolucionario istitucional ha smesso di contrattare il suo appoggio e ha deciso di buttarsi a destra. Un pugno di governatori ha obbligato con le cattive il candidato priista Madrazo a riconoscere pubblicamente «la correttezza del processo elettorale e l’impossibilità che cambi il risultato».
Vinca chi vinca, una crisi di rappresentanza è già aperta. Calderon ha preso 14 milioni di voti e Obrador 13 milioni e rotti più quelli che riuscirà a ripescare in tribunale. Su 71 milioni di elettori. A governare la decima economia del pianeta dovrebbe essere qualcosa di più che circa un quinto dell’elettorato.
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