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Iraq, c’è un indagato per l’attacco italiano contro un’ambulanza
Publie le martedì 11 ottobre 2005 par Open-PublishingDazibao Guerre-Conflitti medio-oriente
di red
La missione di pace italiana finisce sotto inchiesta. Uno dei soldati italiani del contingente in Iraq potrebbe infatti essere indagato nell’inchiesta in corso della procura militare di Roma sulla vicenda degli spari contro l’ambulanza irachena a Nassiriya. Lo riferiscono fonti qualificate e anche se l’iscrizione nel registro sarebbe un atto dovuto, necessario per lo svolgimento delle indagini, l’ipotesi di reato c’è ed è «uso delle armi contro ambulanze, ospedali, navi o aeromobili sanitari o contro il personale addettovi», prevista dall’art. 191 del codice penale militare di guerra (che si applica ai soldati italiani impegnati in missioni all’estero).
Un episodio oscuro e molto controverso su cui il governo non ha mai voluto fornire spiegazioni. La vicenda risale alla notte tra il 5 ed il 6 agosto 2004, quando a Nassiriya si verificarono violenti scontri fra i miliziani sciiti di Moqtada Al Sadr e i militari italiani del Reggimento Lagunari Serenissima. I soldati italiani che presidiavano il ponte Charlie avrebbero bloccato un’autobomba diretta contro di loro, facendola esplodere e nel corso degli scontri l’ambulanza sarebbe stata centrata da un razzo. Ma gli italiani si sono sempre difesi sostenendo che i guerriglieri sparavano dall’ospedale e il governo, a parte smentire, non ha mai chiarito i fatti continuando a sostenere che quella in Iraq è una missione di pace.
Dopo più di un anno di silenzio l’opposizione chiede ora di alzare il velo per capire se i militari italiani hanno effettivamente fatto fuoco contro quell’ambulanza. Elettra Deiana (Prc) ha presentato un’interrogazione parlamentare al ministro della Difesa per sapere se la procura militare di Roma ha aperto un procedimento penale a carico dei soldati italiani in servizio in Iraq nell’agosto 2004 e «in caso positivo, quante e chi siano le vittime accertate dell’episodio». Ma anche per sapere se al contigente siano arrivate richieste di indennizzo da parte dei parenti delle vittime e se il Governo intende accettare tali domande.
Per la parlamentare, che ha ricostruito la controversa vicenda attraverso le notizie di stampa, contano i fatti. E il filmato trasmesso nei giorni immediatamente successivi all’episodio sia dal Tg3 che dal Tg2 del giornalista americano Micah Garen (che venne anche brevemente sequestrato durante la sua permanenza a Nassiriya) riportava una ricostruzione dei fatti che alquanto compromettente. Veniva infatti intervistato il conducente dell’ambulanza, che le immagini dimostarvano semidistrutta, che sosteneva che i militari italiani avevano sparato contro il veicolo che trasportava una donna partoriente all’ospedale di Nassiriya causando la morte della donna e di altre persone. Una ricostruzione confermata anche da fonti ospedaliere di Nassiriya.
Ma il comando del contingente italiano e lo stesso Governo hanno sempre smentito. Come ricorda l’esponente di Rifondazione, il 27 agosto 2004, davanti alle Commissioni parlamentari, il ministro degli Esteri Frattini «ha smentito l’accadimento affermando apoditticamente che è sbagliato ed ingiusto asserire che i nostri militari hanno sparato contro un’ambulanza con una donna incinta a bordo. Semplicemente, non è vero». Secondo Deiana, però, «la smentita del ministro degli Esteri non è idonea ad assolvere le funzioni del Governo in relazione al Sindacato ispettivo del Parlamento, in quanto non ha fornito alcuna ricostruzione dei fatti accaduti la notte fra il 5 ed il 6 agosto, ed appare palesemente erronea in quanto motivata su presupposti che si sono rivelati infondati, come una presunta smentita della notizia da parte della Rai e dello stesso Garen». Infatti, come ricorda Deiana né il Tg2 né il Tg3 hanno mai smentito ed anche Garen ha «insistito nella sua tesi».
E visto che «le notizie apparse sugli organi di informazione costituiscono, in senso tecnico-giuridico, notizia di reato» secondo la parlamentare «l’autorità giudiziaria competente deve necessariamente, nel tempo trascorso dalle ultime comunicazioni del Governo, aver preso conoscenza del fatto-reato e svolto gli accertamenti preliminari per verificare la fondatezza della notizia».
Un’inchiesta è stata effettivamente aperta a suo tempo dal procuratore militare di Roma Antonino Intelisano, che non ha ancora concluso i suoi accertamenti. E ora ci sarebbe anche un indagato. A questo punto però il governo non può più tirarsi indietro e, nel rispetto del segreto processuale dovrà rispondere ai quesiti di Rifondazione comunista e fare finalmente luce su una vicenda su cui per troppo tempo si è taciuto.