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Forum Sociale Vittorio Agnoletto
Nell’agenda di Mumbai
di Vittorio Agnoletto (del Consiglio Internazionale del Forum Sociale Mondiale)
Fotografia di Simone Bruno
Il trasferimento del Forum Sociale Mondiale da Porto Alegre a Bombay rappresenta per il movimento la consapevolezza delle proprie immense responsabilità, a livello globale, nella lotta al neo-liberismo.
Il trasferimento del Forum Sociale Mondiale da Porto Alegre a Bombay rappresenta per il movimento la consapevolezza delle proprie immense responsabilità, a livello globale, nella lotta al neo-liberismo. Il limite principale della pur importantissima esperienza dei tre FSM organizzati in Brasile era infatti quello di riproporre la centralità della cultura occidentale, fondata, in questo caso, sull’incontro tra l’Europa e l’America Latina, come asse centrale della costruzione di un nuovo mondo possibile. A Bombay lo sforzo del comitato organizzatore indiano è stato imponente: il processo di costruzione del forum ha coinvolto oltre cento differenti realtà nazionali, alle quali si sono aggiunte, in un rapporto non formalizzato, né stabile, ma comunque sufficientemente continuativo, alcune delle maggiori organizzazioni attive in altri paesi dell’Asia centro-orientale.
E’ stato un percorso faticoso e non senza contraddizioni significative. Ad esempio nella fase iniziale hanno pesato le differenti impostazioni strategiche tra i movimenti sociali che hanno come riferimento i tre partiti comunisti indiani. Sul fronte dei movimenti contadini, non tutti si sono sentiti coinvolti nel lavoro del comitato promotore che, essendo guidato dalle maggiori Ong nazionali, è stato spesso accusato di subire troppo il condizionamento dei Fondi internazionali «di sviluppo». Questi ultimi infatti, come ci ricorda Vandana Shiva nella sua ultima intervista a Carta, orientano gran parte dei loro finanziamenti in modo da stimolare il discorso sull’identità (religiosa, di genere e sociale), a scapito però dell’analisi sulle questioni economiche nazionali e internazionali che determinano le condizioni materiali del vivere quotidiano.
Una posizione critica che è diventata netta contrapposizione è infine quella di alcune organizzazioni fondamentaliste induiste che contestano il Forum per il suo carattere laico e pluralista.
Non sarà certo facile, per noi occidentali, comprendere le contraddizioni che animano una realtà così differente dalla nostra. Radici culturali e sociali, che suscitano immaginari e archetipi altrettanto differenti all’interno della stessa India, spesso nascosti sotto i marchi ingombranti delle onnipresenti multinazionali o dietro l’informazione omogeneizzata e patinata dei soliti media player globali. Contraddizioni enormi, in un paese ove risiede circa 1/6 della popolazione mondiale, con al potere un partito induista, per quanto riguarda la pubblicistica interna, ma liberista nelle scelte di politica economica e di politica estera. Un paese ove la popolazione è ancora suddivisa in caste nonostante la loro formale abrogazione avvenuta 55 anni fa (argomento che sarà oggetto di serrati confronti nel Forum nel quale si è scelto, non casualmente, di attribuire ampio spazio ai temi delle discriminazioni, anche e soprattutto di genere, e delle varie forme, comunque mascherate, di! razzismo); un paese dove le stime più ottimistiche sostengono che 250 milioni di persone vivono sotto la soglia di povertà, e dove tra il 10 per cento più ricco, che controlla oltre un terzo delle risorse nazionali, e il 10 per cento più povero,che non arriva al 3 per cento della ricchezza, ci sono enormi fasce intermedie sull’orlo dell’indigenza. Un paese dove l’agricoltura è in agonia a causa delle politiche europee e statunitensi sui sussidi; dove il numero dei lavoratori bambini è il maggiore al mondo (il governo ne conta 17 milioni, l’Ilo 44, le Ong più di 100 milioni). Una nazione conosciuta in tutto il pianeta per la sua tradizione gandhiana, spesso citata a sproposito, ma anche munita di bomba atomica e perennemente a rischio di conflitto armato con il vicino Pakistan, anch’esso potenza nucleare.
L’opposizione alla guerra costituirà uno degli assi portanti di tutto il Forum. Un’ opportunità unica d’incontro tra i movimenti pacifisti occidentali e i movimenti e le realtà sociali direttamente impegnate in medioriente e nei paesi della regione centroasiatica nella lotta per la pace, l’autodeterminazione e la difesa dei diritti umani. L’obiettivo è quello di non limitarsi a i pur necessari confronti analitici ma di rilanciare iniziative concrete, a partire dal percorso che ci condurrà alle manifestazioni del 20 marzo, in tutte le capitali del mondo, per riaffermare, su invito dei movimenti pacifisti statunitensi, l’opposizione alla guerra e alle occupazioni in Iraq, Afghanistan e Palestina.
Ma il Forum di Bombay sarà chiamato ad affrontare altre due questioni strategiche: da una parte, occorre infatti scegliere le modalità con cui proseguire la lotta contro il Wto rendendo ancora più produttivo il successo ottenuto a Cancun; dall’altra, soprattutto all’interno del Consiglio Internazionale, bisognerà ridiscutere delle caratteristiche che hanno finora segnato l’organizzazione stessa dei Forum. Non più solo momenti di confronto ma anche di organizzazione concreta delle iniziative di lotta dei mesi a venire, sforzandosi di creare sempre maggiori sinergie tra movimenti collocati in aree diverse del pianeta e di giungere a individuare priorità comuni e condivise.
Se il procedere della guerra infinita politica, economica, sociale e militare lanciata dall’amministrazione Bush rende sempre più necessario un protagonismo consapevole del movimento sulla scena internazionale, la vittoria importante, seppur parziale, ottenuta a Cancun rende evidente a tutti come il confronto tra le due superpotenze, per utilizzare l’espressione del New York Times, sia ancora tutto aperto e l’esito non appaia definitivamente scontato.