Home > Donne in Nero : le grida silenziose
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La settimana scorsa, più di 650 pacifiste venute da 44 paesi si sono riunite a Gerusalemme per il secondo [sic] incontro internazionale delle Donne in Nero.
di Eetta Prince-Gibson
Per 4 giorni, con un caldo quasi insopportabile, le donne sedute sotto delle tende all’hotel 7 Arches, sul Monte degli Olivi hanno ascoltato dei panel di discussione tradotti simultaneamente in 6 lingue diverse e hanno partecipato a degli workshop.
Una giornata è stata dedicata al conflitto israelo-palestinese, inclusi temi come "La politica della giudaizzazione di Gerusalemme", "La soluzione dei due stati è percorribile?" e "Boicottaggio, disinvestimento e sanzioni contro Israele". Ogni workshop era facilitato da una Palestinese e un’Israeliana insieme.
Un altro giorno, con il tema «Sfide globali delle donne» è stato dedicato a questioni come «Crimini di guerra contro le donne», «Le relazioni di genere durante i conflitti politici e loro conseguenze» e «La politica di paura, odio e il razzismo».
Il venerdì pomeriggio, durante l’incontro, 200 Donne in Nero internazionali si sono unite alle israeliane nella loro vigil settimanale a Paris Square nella capitale. Erano là, come fanno sempre alla stessa ora e nello stesso luogo, volontariamente in silenzio portando dei segnali «stop» e invitando a «mettere fine all’occupazione». Mentre esse erano là, un pedone o un automobilista occasionale gridava qualcosa verso di loro.
Alcune espressioni indirizzate alle militanti erano favorevoli - una donna con un bebè gridò loro "Kol Hakavod (+/- brave)!" - ma la maggior parte era ostile. «Go f--- un Palestinese» urlò un uomo suonando il clacson per attirare la loro attenzione.
«Spero che resterete vedove e che porterete sempre il lutto» disse un’altra donna, aggiungendo, «Spero che il vostro grembo si secchi e che non abbiate mai bambini.»
Lepa Mladjenovic, 50 anni, consulente per donne vittime della violenza maschile e Donna in Nero di Belgrado non poteva comprendere gli epiteti urlati in ebraico. Ma ha detto che era abituata al linguaggio del corpo e ai gesti delle mani dalla sua esperienza in Serbia. «E’ proprio come nelle vigil da noi» ha detto mostrandosi insieme divertita e a disagio. «Alcune cose - come odiare le donne, e in particolare quelle che assumono posizioni politiche impopolari, donne che sono pronte a criticare i loro governi - sono universali» ha aggiunto, dimostrando di conoscere bene i mantra della militanza.
Le Donne in Nero sono nate nel 1988 come un movimento di base israeliano e palestinese. Inizialmente, sono comparse a Gerusalemme per rispondere allo scoppio della prima intifada. Poi si sono diffuse in altre parti di Israele. E si sono diffuse nel mondo. Oggi ci sono Donne in Nero in circa 400 luoghi all’estero, dove si tengono delle vigil nel contesto politico di ogni paese. In Germania, per es., le Donne in Nero manifestano contro i neo-nazi, il razzismo contro i lavoratori stranieri e le armi nucleari. In India, si insiste per mettere fine a quelli che esse considerano comportamenti indegni contro le donne da parte dei fondamentalisti religiosi.
Nonostante il movimento si sia gradualmente radicato in ogni continente, la cooperazione tra gruppi è stata minima fino al 2001, fin quando delle mailing list di Europa, Asia e America del Nord non hanno cominciato a mettersi in rete. In quello stesso anno le Donne in Nero internazionali sono state candidate per il Premio Nobel per la Pace. Nessuno sa esattamente quante donne si ritengano appartenenti al movimento, visto che ogni sezione è autonoma e che non ci sono iscrizioni o quote di partecipazione. Quel che si sa è che ad ogni vigil, le partecipanti sono insieme in silenzio e vestite di nero.
Secondo Mladjenovic, è una tecnica che attira l’attenzione, «con un significato simbolico e politico profondo.» Nel 1991, ha detto, delle donne che, come lei, hanno cercato un mezzo per esprimere la loro opposizione al potere crescente di Slobodan Milosevic, hanno adottato questa tattica e hanno cominciato a tenere le loro prime vigil a Belgrado. Esse si definiscono come «un gruppo antinazionalista, antimilitarista, femminista e pacifista».
«Milosevic utilizzava il nazionalismo etnico per manipolare le persone e creare una base popolare per estendere il suo controllo sulla ex Jugoslavia» ha ricordato Mladjenovic. «Si serviva di meeting e dei media controllati dallo stato per insegnare alla gente l’odio verso chiunque fosse diverso. Si è messo a costruire un nazionalismo etnico basato su identità che non avevano niente a che vedere con la realtà, niente a che vedere con la storia o nemmeno con gli interessi politici. Noi eravamo là in piedi per dire al mondo che eravamo contro la guerra, gli stupri e la pulizia etnica.
Milosevic ha creato un nazionalismo e insegnato alla gente l’odio. Ma noi rifiutiamo l’odio. Io so esattamente come si sentono le donne israeliane. In un conflitto come questo, ti devi chiedere, chi sono io? Da che parte sto? E allo stesso tempo non rinneghi mai la tua identità. Io non l’ho mai rinnegata e non negherò mai di essere serba. Nemmeno le donne ebree e palestinesi hanno mai rinnegato la loro identità. E’ questo che rende l’opposizione alla politica del governo così minacciosa per la maggioranza. E’ per questo che ci chiamano traditrici».
Ha continuato spiegando lo scopo della «tecnica del silenzio esasperante» delle vigil. «E’ un silenzio molto rumoroso» ha detto. «Prende in giro il silenzio imposto alle donne. E poiché il nostro silenzio è così rumoroso, è una ribellione contro il modo in cui le donne sono ridotte politicamente e socialmente in silenzio». Secondo Mladjenovic, poiché il movimento è composto da donne, i suoi oppositori, sia uomini che donne, hanno cercato di umiliarle in quanto tali.
«Quando Milosevic portava la guerra in Croazia» ha detto «i suoi sostenitori ci chiamavano puttane del Presidente della Croazia. Quando la guerra si è spostata in Bosnia, noi eravamo le puttane bosniache. Quando poi si è spostata in Kosovo, ci chiamavano puttane del Kosovo.» Si tratta di donne che, come lei, sono «considerate come delle traditrici della loro nazione, del loro sesso, della loro società, dei loro amici e della loro famiglia Adottando questa posizione di paria, facendoci sputare addosso e maledire, noi abbiamo rotto il mito del consenso. E’ quel che fanno le Donne in Nero in Israele ed è quel che facciamo noi a Belgrado. Ma è molto molto duro».
Mladjenovic ha detto che per degli anni, suo padre praticamente non le ha più rivolto la parola e che le sue relazioni con il resto della famiglia erano tese. «Mio padre credeva che Milosevic fosse innocente e si fidava della propaganda che diceva che era tutta colpa delle forze straniere. Fu un periodo molto penoso per me e per quelli che amavo, perché loro credevano che io fossi una traditrice. Solo dopo che essi hanno cambiato opinione sulle guerre, noi abbiamo potuto riallacciare i legami.
Quanto al vestirsi in nero, Mladjenovic ha spiegato perché lei pensa che è un vero strumento di provocazione: «Le donne si vestono generalmente di nero per esprimere il loro dolore per la morte di una persona cara. Noi ci vestiamo di nero per esprimere il nostro dolore per tutte le vittime. Inoltre, il nero non è un colore, è tutti i colori, il colore della protesta».
In quanto militante che lavora con vittime di violenze sessuali o di altre forme di violenza contro le donne, Mladjenovic pensa che le Donne in Nero, dappertutto, indipendentemente dai conflitti politici nella loro regione specifica, manifestino anche contemporaneamente contro la violenza verso le donne «Gli uomini utilizzano il nostro corpo per i loro obiettivi» ha detto «Scegliendo di esporre il nostro corpo nella sfera pubblica, noi lo usiamo come una dichiarazione di potere».
Mladjenovic ha descritto come lei e altre donne in Nero della sua regione hanno mantenuto la loro vigil settimanale per 7 anni e mezzo, fino al 1999, quando le forze della NATO hanno bombardato Belgrado per 77 giorni consecutivi. Fino a quel momento, esse manifestavano mentre la violenza saliva in Croazia, quando Mostar e Sarajevo erano distrutte, mentre la violenza cresceva in Kosovo, mentre Milosevic e i suoi uomini installavano campi di concentramento e massacravano innumerevoli civili a Srebrenica e commettevano atrocità in Bosnia Erzegovina.
Alcune donne sono state arrestate. Tutte sono state regolarmente tormentate e minacciate dalla polizia segreta, l’esercito e i paramilitari e le milizie che Milosevic incoraggiava. Molte di loro sono state screditate socialmente e politicamente e hanno perduto il loro lavoro. Alcune sono state rovinate finanziariamente quando la situazione in Serbia si è deteriorata.
Ora c’è un nuovo regime in Serbia e la regione è complessivamente tranquilla. Ma Mladjenovic e le sue compagne pensano che in un certo senso, la situazione in realtà è peggiorata con «il clima fascista dominante che giustifica e minimizza ogni responsabilità serba per le guerre e le atrocità».
«Milosevic non odiava, lui usava l’odio», ci ha spiegato. «Ma il presidente attuale è un nazionalista fascista e odia davvero chiunque non è un vero serbo. Ha dato potere ad ogni gruppo fascista di destra. Anche la chiesa ortodossa sostiene questo nazionalismo. Oggi, ci sono giovani che percorrono le strade pronti a picchiare chiunque sia diverso».
«Come paese, noi dovremmo impegnarci per accettare la nostra responsabilità morale collettiva per ciò che è stato fatto in nostro nome e per aver eletto un altro regime fascista. Dobbiamo rompere il consenso che afferma che i crimini di guerra commessi dalla nostra nazione, la nazione serba, erano giustificati dalla situazione. Dunque, noi siamo di nuovo isolate, siamo di nuovo traditrici agli occhi di molti dei nostri compatrioti, uomini e donne».
Pur non avendo mantenuto delle vigil regolari, esse ne organizzano per sottolineare delle date significative e unirsi ad altre che manifestano. Nel 2002, per esempio, le Donne in Nero hanno partecipato ad una parata per il gay pride. In effetti, come in Israele, le Donne in Nero in Jugoslavia sono fortemente legate al movimento lesbico.
«Il nazionalismo e il patriarcato rifiutano ogni forma di essere altro - Croati, Musulmani, Albanesi, lesbiche, zingari, chiunque non è «noi». Esiste anche un sito internet locale che elenca i nemici dello stato, e tra questi ci sono le lesbiche. Questa è la dinamica del fascismo, e noi dobbiamo quindi protestare contro di loro, in favore di tutti i gruppi. Sapete che non c’è un ebreo in Montenegro, e tuttavia ci sono graffiti antisemiti sui muri? Si insegna alla gente a odiare».
Tuttavia, malgrado la sua rabbia contro ogni forma di pregiudizio, compresa l’omosessualità, Mladjenovic si è dimostrata tollerante e indulgente quando degli workshop sul lesbismo, programmati per l’incontro internazionale sono stati soppressi quando le partecipanti palestinesi hanno minacciato di ritirarsi. «E’ comprensibile» ha detto, cosa che introduce una contraddizione piena di ironia nell’uniformità delle sue posizioni o sul fatto che lei, una donna che si dichiara apertamente lesbica, sia stata censurata da donne del suo stesso movimento di protesta.
«Noi lavoriamo con donne che soffrono a causa del patriarcato. Io non sono d’accordo ma comprendo. Ci vorrà ancora molto tempo prima che queste donne comprendano che il lesbismo fa parte della stessa posta in gioco, quella del patriarcato, del rifiuto dell’altro. Alla fine, comprenderanno».
Per quanto riguarda il grado di influenza del movimento, Mladjenovic ha detto di non farsi illusioni sul potere delle Donne in Nero in Serbia, in Israele e in nessun altra parte. Ha riconosciuto che «non abbiamo fermato Milosevic. Non abbiamo potuto impedire i massacri. Ma abbiamo dato speranza. E la storia registrerà che noi ce ne siamo fatto carico e abbiamo preso posizione.
E anche questo è importante». Ha detto tuttavia di essere stata incoraggiata dal ruolo importante svolto dalle donne in Nero nel recente riconoscimento dello stupro come crimine di guerra da parte del Tribunale penale per l’ex Jugoslavia all’Aya e della Corte penale internazionale. «Lo stupro ha sempre fatto parte della guerra» ha detto «ma questo non era mai stato anche reso pubblicamente trasparente. Avendo contatti con donne nelle zone di conflitto, eravamo al corrente degli stupri di massa. Questo non è mai apparso nei media controllati dallo stato, ma noi abbiamo potuto informare, da noi e all’estero».
In Israele per la prima volta, Mladjenovic e le altre donne dell’incontro si sono rapidamente adattate al gergo della sinistra radicale locale. Hanno imparato a chiamare la barriera di separazione «Muro dell’apartheid», a parlare di «forze dell’apartheid» e a opporre al disimpegno unilaterale di Gaza alla loro solidarietà che supera le frontiere. Mladjenovic fa riferimento alle Donne in Nero di Gerusalemme come «le sue madri e le sue sorelle spirituali per la pace» e dichiara che la loro esistenza come movimento è politicamente, moralmente e emozionalmente importante per le donne di tutto il mondo.
«Io mi sento solidale sia con le donne ebree che con le palestinesi. Nelle due società, le donne subiscono il patriarcato. Nelle due società, come nella nostra, le donne devono opporsi alla leadership che parla in loro nome».
THE JERUSALEM POST, 22 agosto 2005